Pubblicato lunedì, 28 novembre 2005 17:08 - Letture Articolo 25718 - Condividi 
Mario Giacomelli


Mario GiacomelliMario Giacomelli nasce a Senigallia il 1°Agosto 1925. Inizia la sua attività di fotografo la vigilia di Natale del 1953. Si regala una fotocamera Comet e si reca sulla spiaggia per fotografare il mare: per riprodurlo mosso ed animato muove la macchina. Nasce così la prima fotografia, L'Approdo, con la quale consapevolemente si allontana dalla tradizione fotografica.
La partecipazione al
gruppo "Misa", fondato da Giuseppe Cavalli, permette a Mario Giacomelli di uscire dall'ambito della piccola città di provincia e di inserirsi in un panorama culturale di ampio respiro, più congeniale alle sue motivazioni ed aspirazioni.

Tra gli anni '50 e '60 partecipa a concorsi ed esposizioni: si affaccia sul panorama irrequieto della fotografia italiana con proprie idee, stile e linguaggio ed è subito successo di critica e pubblico. Nel 1955, premiato da Paolo Monti, vince il primo premio per il miglio complesso di opere alla seconda mostra nazionale di fotografia a Castelfranco Veneto; nel 1956 espone alla prima mostra fotografica artistica a Pescara e alla terza mostra internazionale a Venezia.
Dopo una serie di prime fotografie a titolo scattate fra il' 53 e il' 56, Giacomelli affronta i grandi temi che ne faranno un caso fotografico. "Pur amando e sentendomi un realista, pur definendo la poesia come comunicazione, credendo nella fotografia che documenta, ho scoperto, da un paio di anni, che la poesia è il linguaggio col quale credo di realizzarmi e di poter fuggire dalle formule delle banalità quotidiane. Lo spazio non è più appiattito, le cose che vedevo sempre uguali, le stesse strade, la stessa gente della mia città, pensando alla poesia, ora mi sembrano modificate, tutto sa di avventura che mi coinvolge in esperienze nuove, mi fa vivere in territori immaginari".

Del 1954/1956 è la serie sulla "Vita d'ospizio". Mario Giacomelli e la sua storia d'amore infinita con i vecchi, rimandi continui sul filo dell'esperienza: ritornerà sul tema con "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" (1966/68, il titolo è ripreso da una poesia di Pavese) e con il complesso senza titolo "non fatemi domende!" (1981/83).
Fin da allora sa che le rughe, i solchi del volto dei vecchi dell'ospizio sono i suoi, quelli della nostra umanità e della nostra natura, i solchi della madre terra, del taglio dell'albero; comprende l'universalità delle cose e indirizza su se stesso, le sue pulsioni, materie, umori, sentimenti, ricordi nel tentativo di cogliere il mondo nella sua essenzialità, alla "sorgente della vita".
Nel 19957 lavora sulla serie "Scanno" inserita nel 1963 da John Szarkowsky in "Looking at Photographs" nella raccolta del Museum of Modern Art di New York, con la quale Giacomelli si affaccia sulla ribalta mondiale, ottenendo i più ampi consensi di pubblico e critica.
Sempre del 1957 è la serie "Lourdes": Giacomelli subisce la desolata impotenza dell'uomo di fronte alla deformità del male. A questa seguono nel 1958, la serie "Zingari", "Puglia" e, nel 1959, (ripresa nel 1995) "Loreto". Del 1961 sono le immagini di "Mattatoio".
Del 1961/63 è la serie "Io non ho mani che mi accarezzano il viso", da una poesia di Padre David Turoldo. In questa serie fantastica di "pretini" resa in immagini sospese, con le toghe gonfie come piccole mongolfiere, la trasgressione iconica di Giacomelli raggiunge il vertice dell'astrazione.
Risale agli anni 1964-66 "La buona terra", seguita da "Caroline Branson" del 1971-73, lavoro ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, poi "presa di coscienza sulla natura" (1980-94), la grande serie dei paesaggi.

"
Io non ritraggo il paesaggio, ma i segni, le memorie dell'esistenza di un "mio" paesaggio. Non voglio che sia subito identificato, preferisco che si pensi a certi segni, alle pieghe-rughe che l'uomo ha nelle sue mani. Un tempo questo pensare al contadino mi affascinava, perchè sentivo il paesaggio come un grande reportage, puro, forte, tutto ancora da scoprire, da vivere. Mi sono accorto che fotografavo invece la mia interiorità, attraverso il paesaggio trovavo la mia anima.
Ci sono stati altri momenti in cui il paesaggio era qualche cosa di ancora diverso e aumentavano le mie contraddizioni. La terra ha i suoi segni, delle piaghe, che mi chiedevano di essere fotografati, così almeno mi è sembrato. I segni erano disposti in maniera che l'anima potesse godere, segni interiori, riflessi come azione creativa, stordimento e allo stesso tempo conoscenza, distruzione che costruisce, terra come percorso di voglie, di sensibilità, di penetrazioni, di orgasmi perchè non si ripetano le cose visibili. Forse io non ho mai fotografato il paesaggio, l'ho amato
"

Su testi del poeta Permunian si fonda "Il Teatro della neve" (1985-87) seguita da "Ninna Nanna" e "A Silvia" (1987-88). Tra i lavori più recenti ricordiamo: "Il mare dei miei ricordi" (1991-94), "Io sono nessuno" (1994-95) su testi di Emily Dickinson fino ad arrivare a "Questo ricordo lo vorrei raccontare" (1998-2000) e "Bando" (1998-99) ciclo di immagini in serie di 4, ispirate ad una poesia di Sergio Corazzini e presentato nel 1999 alla XXIV Biennale d’Arte contemporanea di Alatri.
Il 25 novembre 2000, all’età di 75 anni, Mario Giacomelli si è spento nella sua casa di Senigallia.

Le informazioni su Mario Giacomelli sono tratte da:
"Fotografia" a cura di Enzo Carli, Adriatica Editrice, 1990;
"Mario Giacomelli. Interrogando l'anima" di Enzo Carli, Edizioni Lussografica, 2000;
"Mario Giacomelli: spazi interiori" a cura di Enzo Carli, Adriatica Editrice, 1990;



Ultimo aggiornamento ( giovedì, 09 febbraio 2006 18:27 )

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